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Giacomo Leopardi 

 

La vita di Leopardi ha due caratteristiche peculiari: la prima è la scarsità di eventi esterni di particolare rilievo, una vita del tutto antiromantica; la seconda è il suo ruotare attorno a una condizione di emarginazione sociale e civile, dalle idee dominanti, dalla società intellettuale del suo tempo.

Nasce il 29 giugno del 1789 a Recanati dal conte Monaldo Leopardi e da Adelaide Anrici;

La sua formazione fu da autodidatta e fu resa possibile dalla ricca biblioteca paterna nella quale faceva uno "studio matto e disperatissimo" che gli provocò la scoliosi e l'indebolimento   della vista, da questo momento visse un rapporto diretto e continuo con il dolore;

Nel 1816 iniziò quello che lo stesso Leopardi definirà il propio passaggio "dall'erudizione al bello": abbandono degli studi filologici in favore della poesia, unico strumento espressivo adatto a dar forma a sentimenti e passioni individuali;

Nello stesso anno partecipò all'accesa polemica tra classicisti e romantici iniziata con la pubbicazione della lettera "Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni" di Madame De Stael, schierandosi con i primi;

L'idealizzazione della natura e degli antichi trovò il proprio corrispettivo nel rifiuto polemico del presenti e della società contemporanea, ormai corrotta. E' la fase del pensiero leopardiano definita Pessimismo storico:  il male è imputabile all'uomo e alla civiltà, non alla natura;

Nel 1819 tentò di fuggire da Recanati senza avere successo e a questo si aggiunse una grave forma di esaurimento psicofisico. Inizia il passaggio "dal  bello al vero", l'abbandono della religione cattolica e il passaggio a una posizione atea. 

 

Tra il 1819 e il 1821 scrisse sei idilli ( L'infinito, Alla luna, Lo spavento notturno, La sera del dì di festa, Il sogno e La vita solitaria), sede più propria delle illusioni.

Nel 1824 inizia la stesura delle Operette Morali, risultato più evidente del passaggio al Pessimismo cosmico: il dolore dell'uomo e del mondo è senza rimedio, responsabile di esso è la natura che agisce da matrigna indifferente.

Tra il 1825 e il 1828 si allontana da Recanati, soggiorna a Milano, Bologna e a Firenze dove fu accolto con grandi onori ma anche criticato da tutti coloro (cattolici,progressisti,liberali) che non condividevano le sue posizioni pessimistiche e materialistiche. Essi vedevano in lui un reazionario nemico di un progresso sociale, culturale ed economico che pareva inarrestabile e che invece per Leopardi, era solo uno dei tanti miti a copertura dell'infelicità umana. Si innamora di Fanny Ronchivecchi, all'amore non corrisposto si devono i 5 canti del "Ciclo di Aspasia"  (Il pensiero dominante, Amore e Morte, Consalvo, A se stesso e Aspasia).

Nel 1833 si trasferì a Napoli con il suo caro amico Antonio Ranieri, su consiglio dei medici, che ritenevano il clima di quella città più adatto alla sua salute sempre più precaria. 

Nella sua ultima residenza sulle pendici del Vesuvio, Leopardi scrisse i suoi ultimi canti: La ginestra e Il tramonto della luna. Morì il 14 giugno del 1837.

Nonostante Leopardi si definisse un antiromantico, nelle sue opere troviamo temi che vanno dall'amore di patria ai temi dell'amore e della morte, dalla centralità dell'io al motivo della natura; tutti tratti romantici. L'apporto più originale e controcorrente rispetto  al Romanticismo italiano è la sua critica ai falsi miti dell'età a lui contemporanea: il progresso scientifico, sociale ed economico; l'ottimismo e la fiducia nel destino dell'umanità; la fede in Dio, nella ragione, nel progresso e nell'uomo.  Si tratta di una filosofia negativa il cui compito è innanzitutto quello di distruggere le false credenze che impediscono agli uomini di conoscere la verità su se stessi. Leopardi andava controcorrente rispetto al suo tempo e fu questo il motivo della scarsa fortuna che, ad esempio, ebbero le sue Operette morali. Leopardi era alla ricerca di una prosa moderna, che a suo parere ancora mancava all'Italia e nella quale si potesse trattare il vero.

 

 

Nel film "Il giovane favoloso", Elio Germano nei panni del poeta dirà: 

" Io odio, odio, questa prudenza che rende impossibile ogni grande azione"

Il movimento futurista

La letteratura del primo periodo del Novecento prese le mosse dal rifiuto della tradizione e dal desiderio di liberarsi dalla retorica. La liberazione della lirica avvenne tramite l'introduzione di contenuti fino ad allora estranei alla poesia e la sperimentazione di forme che mescolano poesia e prosa. A spianare la strada a un'inedita concezione della poesia furono i poeti crepuscolari, una compagine non organizzata ma unita dall'idea della fine sia della figura del poeta vate sia della funzione celebrativa della poesia. Lo smantellamento della tradizione poetica si realizzò anche attraverso forme più eversive : un drappello di poeti anarchici mise a punto la propria sfida rifiutando ogni regola. Il merito di questi poeti fu quello di introdurre l'”impoetico” in poesia: contenuti e forme fino ad allora considerati inadatti divennero oggetto dei loro testi.  

Se crepuscolari ed anarchici minarono alle fondamenta l'edificio della tradizione letteraria, l'attacco frontale fu portato dal movimento futurista, la prima avanguardia d'Europa che non si limitò solo al campo letterario, ma si estese in modo articolato e globale.

Fondatore e leader indiscusso del Futurismo fu Filippo Tommaso Marinetti, nel 1909 pubblicò sulla rivista “Poesia” l'atto di Fondazione e Manifesto del Futurismo, uscito un mese prima sul “Figaro” di Parigi. Nel manifesto le linee guida sono: l'esaltazione incondizionata di tutti i simboli della modernizzazione più avanzata, dall'automobile alla luce artificiale; la celebrazione fanatica della guerra come “igiene del mondo”; il disprezzo della donna. I futuristi si scagliano anche contro il sentimentalismo romantico. Tutto questo odio nei confronti delle donne deriva dalla concezione della donna come ostacolo alla nascita di un nuovo prototipo umano. L'ideale umano, il superuomo futurista è un uomo-macchina che non solo si serve di essa ma ha un'esistenza in simbiosi.

L'altro cardine della percezione futurista è la velocità: il ritmo della vita aveva subito un'accelerazione e bisognava fare in modo che anche le informazioni si succedessero sulla pagina con rapidità incalzante. Con il Manifesto teorico della letteratura futurista si cercò di “liberare le parole” abolendo aggettivi e avverbi e usando solo verbi all'infinito con valore di sostantivo. Via anche la punteggiatura, sostituita semmai da segni matematici o musicali.

Il limite di queste Parole in libertà consisteva nell'avere investito solo sugli aspetti formali, c'era una assoluta banalità dei temi. Nascono le tavole parolibere, una sorta di poesie visive dove linguaggio verbale e iconico si confondono al punto che potrebbero essere considerate alla stessa stregua componimenti letterari e collage pittorici.

 

2015- percorso pluridisciplinare di Ivana Leccisotti 

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